Riflessione 3 – Comunione e Missione

Riflessione 3

Comunione Missione 2021

Umanità – Battesimo – Popolo di Dio

 

Un altro filo conduttore che attraversa i documenti di Papa Francesco è la forte relazione tra umanità, battesimo e popolo di Dio. Non sono una novità nel linguaggio corrente soprattutto in ambienti religiosi. Esiste però una differenza tra il pensiero del Papa che riprende le linee del Concilio Vaticano II e la cultura dominante del nostro tempo. Dal 1965 anno in cui termina il Concilio ad oggi la cultura ha subito delle trasformazioni enormi e con una certa accelerazione. Un altro dato che ci permette di riconoscere la differenza è l’attuale frammentazione del pensiero. Già Papa Benedetto XVI lo aveva sottolineato quando parlava del relativismo che si insinua anche nel tessuto delle realtà ecclesiali. Il fatto straordinario invece è di costatare la capacità di confrontarci con tutto questo e quindi proseguire sulla strada della nuova evangelizzazione che non rimane più rinchiusa tra le pareti delle chiese e dei centri pastorali ma comincia timidamente a uscire allo scoperto.

Abbiamo sempre guardato con sospetto chi stava fuori dalla chiesa. Abbiamo ragionato e continuiamo a ragionare in termini di numeri, di frequenza e di dati sui sacramenti amministrati. Su chi va a messa e chi no. Abbiamo continuato a frantumare la proposta evangelica gli uni contro gli altri pretendendo di avere la ragione, tra coloro che sostengono la tradizione e coloro che vogliono rinnovare. E probabilmente abbiamo lasciato in ombra la questione umanitaria relegata alla Caritas e alle Missioni. Il flusso migratorio però ha cominciato a mettere in crisi tutta questa impostazione e molti cristiani si sono trovati spiazzati. Era  ed è una nuova umanità che sta percorrendo le nostre strade e le strade del mondo. La stessa realtà ha messo in crisi quella che chiamavamo “terra di missione”. Non per dire che anche qui in Trentino o in Italia ormai è terra di missione. Dopo questa lunga premessa che tocca vari ambiti della storia della nostra chiesa, possiamo incominciare a prendere il filo conduttore di umanità, battesimo e popolo di Dio. Papa Francesco nei suoi documenti parte dal vissuto, dalla realtà che vive l’umanità per vedere dei segni, per accorgersi che siamo gli uni a fianco dell’altro, per non voltare le spalle e per dire che siamo una sola umanità e che abitiamo la casa comune. Non ha senso costruire recinti religiosi per esprimere l’appartenenza. L’unica appartenenza è quella di essere parte dell’umanità dove nessuno sceglie di nascere e nessuno sceglie di morire. Dentro questa esperienza possiamo trovare tante risposte per comprendere e dare senso alla vita.

Finita l’idea politico-culturale della “socìetas” civile e cristiana, cioè la chiesa come società, retaggi di imperialismi del passato, siamo entrati definitivamente nella cultura dell’umano e della relazione con tutto il creato. Da qui i documenti del Papa da una parte fanno leva sulla chiesa e dall’altra sulla sua missione. Per questo tutte le strutture o organismi sono semplici strumenti e non fini. La parrocchia non è un fine è uno strumento di evangelizzazione. E questo si vede. In molte parti anche nei nostri paesi del Trentino quello che faceva la parrocchia nel passato, adesso lo fanno le associazioni. E questo è un bene perché anche la parrocchia dovrà scendere dal suo piedistallo e mettersi a confronto o collaborare con le realtà presenti sul territorio. Così pure nei settori della politica e dell’economia. Alla fine si impara a crescere insieme anche se ci possono essere punti di vista diversi. Ma non possiamo tralasciare il volto umano dell’evangelizzazione.

Questa sensibilità del Papa Francesco verso il prossimo e di partire dal prossimo ha suscitato molte critiche e incomprensioni. E’ chiaro! Una chiesa che si è sempre messa davanti con la dottrina e la morale per giudicare e condannare ha creato molta più scristianizzazione che accoglienza. Con questo non voglio giudicare il passato, semplicemente ci aiutiamo a fare nuove esperienze per dare significati al rapporto con Dio e con la stessa umanità. Qui non si tratta di salvare le anime ma di averne cura e questa è già salvezza.

La domanda forse che ci potremmo fare sarebbe quella stessa del vangelo che coinvolge persone credenti. “Che cosa dobbiamo fare”?  Risponderei con questa simpatica ricerca. Leggetela attentamente. <Un antropologo fece un gioco con dei bambini di una tribù africana. Collocò un cesto di frutta deliziosa ai piedi di un albero e disse loro: il bambino che arriva primo e tocca la cesta la riceverà in regalo con tutta la frutta.

Quando l’antropologo ha dato il segnale per iniziare la gara, pensava che i bambini si sarebbero messi a correre per vincere la cesta di frutta, si stupì invece che i bambini si misero a camminare insieme, tenendosi per mano, fino a raggiungere la cesta. Insieme la toccarono e condivisero la frutta. Allora l’antropologo chiese il perché di questo gesto se uno solo avrebbe potuto vincerla. I bambini risposero tutti insieme: “Ubuntu”.

L’antropologo cominciò a indagare tra gli adulti del villaggio cosa volesse dire Ubuntu. Risultò che nel linguaggio della loro civiltà tribale, ubuntu significa: “io sono perché tutti siamo”. Questo voleva dire secondo la loro educazione ricevuta dai padri e trasmessa dai nonni: “come può uno solo di noi essere felice mentre tutti gli altri sono miserabili?”.

Questa tribù apparentemente senza educazione conosceva il segreto della cooperazione e la solidarietà, che è stata persa invece in tutte le società che pensano di possedere la civiltà.

Spero vi sia piaciuta. 

La persona che desidera farsi battezzare lo fa perché crede in questa comunione. Perché ha capito che credere in Gesù significa stare dalla parte di Dio e dalla parte dell’umanità. Ha capito che il battesimo ti fa vedere la vita che vive sempre. Ti mette in comunione con gli altri e per questo sei anche popolo. Non è il popolo come entità sociologica, non è un popolo come appartenenza tribale o anagrafica ma comunione. Quella comunione che non è solo nel culto ma che si manifesta “nell’essere con”. Popolo di Dio, espressione dell’Antico Israele, ripresa dal Concilio per sottolineare che il cristianesimo è una realtà in movimento, che è proposta di incontro e condivisione. Un popolo di Dio che celebra non i riti ma la festa dell’incontro. Perché Dio vuole la felicità delle persone e delle comunità. Vuole sentire la gioia anche nelle fatiche.

Questa volta vorrei terminare con una sollecitudine e anche una provocazione. La faccio con tutta la passione che nasce dagli incontri occasionali e organizzati anche se ridotti per la questione della pandemia. La faccio anche per la ricca esperienza missionaria e condividere con tutti gioie e speranze, tristezze e angosce. E sotto sotto anche molte paure che ci intimidiscono. 

Alle comunità parrocchiali, ai sacerdoti della chiesa di Trento, ai movimenti e gruppi, vorrei tanto che non si preoccupassero se nel paese non ci sarà più la messa. Vorrei che si aprissero spazi di confronto non su che canti fare ai funerali o sugli orari della messa, che tutti vorrebbero alle 10 della domenica. Liberiamoci da questi lacci che rallentano il passo e impediscono l’azione dello Spirito. Scegliamo la strada dell’umanità non con le collette soltanto, scegliamo il battesimo e i sacramenti, non perché altrimenti il bambino non è come gli altri. Sentiamoci popolo di Dio non per sociologia ma per essere “fratelli tutti”.