Riflessione 1 – Comunione e Missione

Riflessione 1

Papa Francesco e i suoi documenti.

Vescovo, fratello e profezia

Incoraggiamento per la vita delle nostre comunità parrocchiali, motivo di fiducia per molte persone e popoli, scandalo per i grandi del mondo e gli osservanti fanatici.

Sono stato invitato dagli amici del centro missionario a fare qualche riflessione per capire alcune linee guida partendo dall’Evangelii Gaudium, la Amoris laetitia, esortazioni apostoliche post sinodali, la Laudato Sii e la Fratelli Tutti, lettere encicliche, che il papa Francesco ha donato a tutta la chiesa e al mondo. Alcune linee guida per dire che non sono separate tra loro ma che hanno una relazione e fanno pensare a un progetto di evangelizzazione, quindi missione della chiesa di oggi, che parte dalla centralità della persona di Gesù e del suo vangelo in un dialogo con l’umanità.

Un richiesta abbastanza impegnativa e di responsabilità ma vorrei coglierla per condividere un cammino di conversione che coinvolge la conversione personale, quella pastorale, quella teologica e anche umanitaria. Il coronavirus ci permette di sfruttare questo tempo anche per prendere coscienza che c’è un nuovo che avanza. Sono i tempi dello Spirito che smuovono le montagne. Sono i tempi dello Spirito che smussano gli spigoli delle nostre sicurezze e dell’uniformità. Infine che ci fanno affrontare le situazioni nuove anche quelle che si riempiono di nostalgie, di rimpianti, del guardare indietro. Abbiamo davanti a noi nuovi volti e nuovi orizzonti.

“La gioia dell’amore” spinge alla missione in uscita. 

Veniamo dalla cultura dell’organizzazione, dai piani pastorali, dalle strategie. In una parola veniamo dall’efficientismo attivista. Non solo, veniamo anche da una cultura piramidale delle strutture che ha fomentato il clericalismo, i feudi e le posizioni croniche. Apparentemente bello con un sistema che ha compiuto slanci, ambizioni, applausi. Quel mondo occidentale organizzato nell’assistenza e nel soccorso. Ma intanto il tarlo dell’efficientismo corrodeva all’interno mentre la profezia del vangelo veniva relegata sempre più alla sfera privata e alle sacrestie. Quel mondo aveva paura delle nuove sfide e lo ha tutt’ora. Pronto a intervenire con progetti controllati, pilotati da un centro che potrebbe essere qui ma incapace di capire cosa stia succedendo,  di accogliere l’altro e le tragedie umane. E’ stato uno dei primi segnali della debolezza delle nostre strutture ecclesiali. Intanto si faceva strada la crisi vocazionale. Continuando a pregare per le vocazioni, ma per quale chiesa? Per quale evangelizzazione?  La rassegnazione sembra diventare l’antidolorifico in quest’ora della storia della chiesa occidentale. All’assenza del sacerdote, da un certo punto di vista la pandemia mette in discussione anche lo stesso culto. Basta accendere la televisione. Ci sono funzioni religiose in tutte le salse.

Dopo i grandi entusiasmi e riferimenti al Papa Francesco, ora ci sentiamo quasi paralizzati perché non ci è permesso essere “attivi”. Niente sacramenti, niente feste, riunioni ridotte. 

Non vi nascondo che le domande che pongo a voi, le pongo anche a me stesso, forte anche dall’esperienza missionaria in Bolivia, dove lo stile ecclesiale e pastorale anche se copiava i modelle dall’Europa o dall’Italia, rischiando di portare la nostra cultura, interrogano l’evangelizzazione in questa nuova tappa di un’epoca nuova.

Papa Francesco si affaccia sulla scena del mondo con “semplicità e cordialità” tipiche della cultura latinoamericana che sa accogliere di immediato. Anche il campesino più isolato delle Ande adagio adagio sa accogliere con famigliarità l’altro o lo straniero.

Così ha mosso le viscere della tenerezza anche degli occidentali al di qua dell’oceano Atlantico iniziando da Roma. Il motivo per cui faccio questo riferimento è molto semplice. Non riusciamo a capire i testi delle sue encicliche e delle sue esortazioni sinodali se non entriamo nell’uomo Mario Begoglio, di radici italiane, ma essenzialmente inzuppato di argentinità e di latinità sudamericana. In questo senso notiamo una grande capacità di ascolto, di confidenza e di relazioni spontanee che fanno piacere a tutti. Nei suoi documento, nei suoi scritti ma lo vediamo anche nelle sue espressioni è una persona che piace. Direi una vescovo di Roma che ci voleva e che diventa segno dei tempi insieme alla chiesa e alle chiese che vivono oggi un confronto con la nuova modernità. 

Papa Francesco porta con se il cammino di una chiesa latinoamericana che ha vissuto molte stagioni e ancora si trova a fare i conti con contesti così conflittivi e devastanti che noi non possiamo immaginare. Dittature e repressioni, latifondismo e campesinato, narcotraffico e tratta delle persone, sfruttamento e devastazione amazzonica, ingerenze americane, cinesi, russe ed europee tutte interessate a saccheggiare e rendere povere le popolazioni di quelle nazioni. La lista potrebbe continuare. Sul piano ecclesiale rappresenta quella stagione di vescovi latinoamericani che ha vissuto e sono stati sempre dalla parte dei più poveri e degli esclusi. Il suo stile non è quello di chi parla dei poveri e fa pauperismo ideologico ma ha vissuto i tremendi sobbalzi delle crisi argentine causati dalle borse e dalla finanza internazionale. E’ stato infine l’uomo e il vescovo che ha redatto e accompagnato tutto il processo dell’assemblea dei vescovi latinoamericani che è sfociato nel documento di Aparecida. Un ultimo aspetto che mi pare importante sottolineare è la sua fede semplice ma robusta che attraversa l’esperienza dell’uomo e del vescovo. Francesco ha una passione grande per la chiesa e per l’evangelizzazione. Questa sua forza gli permette di affrontare le onde e le tempeste in cui navighiamo oggi. Ci vuol far vedere che ancora sulla barca c’è il Signore. 

Questa lunga introduzione potrebbe farci uscire un po’ dall’obiettivo che è quello di trovare le lenee guida tra i quattro documenti (EG. AL. LS. FT.). 

Non è così. Il pensiero teologico e pastorale del Papa Francesco ci costringe a metterci tutti a confronto. Teologi e scienziati, credenti e non credenti, uomini della strada e del tempio. Consumatori e militanti, critici e ostinati. Ci mette a confronto con una storia che parte dall’esperienza non più dalle vicende del vecchio continente arricchito dalle immagini egli altri continenti ma che rimanevano fuori. Oggi c’è una storia e una teologia che mette in luce le povertà e speranze di ogni persona e di ogni popolo e che ci riguardano perché abitiamo la stessa casa comune, così la chiama il Papa. E’ la nostra terra, è il nostro pianeta che è vivo e si muove.

In queste righe ho cercato di fare una sintesi tra la personalità del Papa, vista naturalmente dal mio punto di vista e dalla mia esperienza missionaria in Bolivia in quanto ho potuto lavorare nei gruppi di consultazione diocesana e inter diocesana per preparare l’assemblea di Aparecida e alcuni riferimenti alle lettere del Papa, che ho espresso indirettamente in questo contenuto. Nel prossimo articolo entrerò maggiormente nei dettagli di questo filo che lega i documenti papali per non farli cadere nella dimenticanza. Lo scopo non è quello di leggerli ma se anche non leggiamo il testo intero sappiamo coglierne lo spirito e le motivazioni. Questo lavoro ci potrebbe servire a pescare quei riferimenti che ci aiuterebbero a produrre, scusate la parola, cultura e spiritualità. 

Dire “gioia del Vangelo”, “gioia dell’amore”, “fratellanza” e “lode a Dio” è come esprimere l’interiorità della persona che crede, che spera e che ama. E forse la gioia fa paura al mondo perché si oppone al piacere. Quel piacere sul quale si fonda il modello economico e produttivo del nostro tempo.