Riflessione 2
Comunione e Missione
Sinodalità – Incontro e Accompagnamento
Vorrei intitolare questa seconda riflessione: “ Le chiese e il mondo contemporanee”. Il motivo per cui metto al plurale la parola chiesa, ossia “chiese” è semplicemente dovuto al fatto che nel pensiero di Papa Francesco c’è la sottolineatura della chiesa cattolica ma con una visione non più piramidale come poteva essere fino a pochi decenni fa. In tutti i suoi documenti si può respirare l’aria pura di un ecumenismo semplice e impegnativo. Non è solo la chiesa cattolica che viene coinvolta nell’annuncio del vangelo ma le chiese. E se esiste una responsabilità maggiore della chiesa cattolica nell’ambito del dialogo tra le chiese cristiane sarebbe quello di esercitare con molta più coscienza l’esercizio della carità. Una chiesa dunque che sta affrontando le sfide della nuova epoca, la quale non è ancora ben definita in quanto la tecnologia e il virtuale stanno cambiando tutti i linguaggi e le relazioni. Una sfida aperta che coinvolge anche le altre chiese. In questo senso il primo passo che Papa Francesco ha compiuto con molto coraggio è stato quello di regalarci il suo programma contenuto nel primo documento “Evangelii Gaudium”. Un testo che getta le basi e alcuni orientamenti sull’azione pastorale della chiesa e ancora prima ci richiama l’essere della chiesa. Da struttura ecclesiastica a comunità di comunione. Da chiesa in mezzo al mondo che parla di se stessa a una chiesa, come la definisce lui stesso, “in uscita verso le periferie”. Ricordo quante volte poi si sono sentite queste espressioni sull’onda dell’emozione. Tutti, compreso io, si è creduto nella conversione pastorale, espressione uscita da Aparecida 2007. La parola periferia poi era divenuto uno slogan in ogni riunione e ogni omelia. Forse ci abbiamo anche creduto che la trasformazione fosse dietro l’angolo. Ma non è stato così. Subito si sono accesi i focolai di gruppi oppositori, altri si sono arenati, altri ancora vedendo che le risposte alla base erano scarse hanno preferito rimettere i remi in barca e continuare come prima. Il tema intrapreso che metteva l’accento sulla comunità, sulla fraternità ha cominciato a scivolare su alcuni eventi che hanno messe in crisi parecchie persone e realtà ecclesiali. I migranti, i profughi, gli sbarchi, dapprima oggetto di compassione sono finiti per diventare l’oggetto di scontro. La chiesa in Italia, in Trentino si è trovata a dover fare i conti e a confrontarsi con le nuove povertà che il modello economico stava producendo. Non sono bastati neppure i riferimenti al passato della storia passata per rasserenare gli animi. E mentre si stava affacciando il sovranismo politico che faceva riemergere i nazionalismi, la comunità cristiana cominciava a perdere in umanità. Finché c’era da aiutare, mandando soldi alle missioni, tutto era simpatico e bello, ora che i continenti sono presenti anche in Europa, questa comincia a spargere terrore e paure. Aggiungerei infondate e anacronistiche perché il mondo ha sempre cambiato non per le leggi o per i troni e nemmeno per le mitrie vescovili, ha cambiato perché ha dovuto confrontarsi con culture, sistemi, risorse, mercato e di migrazioni. Alcune volontarie, altre obbligate. Come dicevo nella prima riflessione, Papa Francesco viene dalla chiesa latinoamericana, un continente con grandi diversità ma che convivono. In Europa e soprattutto in Italia non siamo abituati a queste diversità ragion per cui facciamo fatica a convivere e a capire. Un papa che viene da un altro continente, giustamente porta anche la ricchezza religiosa e culturale di quel mondo e lo mette a confronto con l’attualità. Non solo. Nei documenti appare la parola sinodalità che attraversa tutti i documenti perché siamo di fronte a un nuovo confronto dentro la chiesa e in relazione con il mondo contemporaneo. Un confronto che parte dalla tradizione della chiesa, il modello ecclesiale e le situazioni che emergono dall’umanità e dalla questione ecologica. Su questo fronte la lettera Evangelii Gaudium parte dalla missionarietà della chiesa e non dalla sua organizzazione. La centralità resta sempre il vangelo o con maggiore evidenza l’annuncio del vangelo che coinvolge ormai tutta la chiesa e non soltanto le sue strutture. La riflessione quindi parte dal cammino che stiamo compiendo raccogliendo tutti i vari aspetti della vita. Molti di noi probabilmente si aspettano un cambiamento immediato. Non è proprio così. L’insistenza sulla sinodalità permette, lo ripeto, un dialogo, un confronto franco e aperto. Senza fermarsi sulle quisquilie. La sinodalità sfocia poi in un processo di trasformazione che ha come obiettivo l’annuncio del vangelo che detto in parole meno liturgiche è l’impegno per l’inculturazione del vangelo. Tutto questo per portare la persona, l’umanità al suo incontro fraterno, solidale e all’incontro con Gesù che ha dato la vita per il mondo. In questo contesto la Evangelii Gaudium mette nella sua parte centrale l’omelia non solo come riflessione del sacerdote dalla quale sembra dipendere tutta la celebrazione della messa, ma l’omelia come strumento che aiuta la comunità a comprendere le Scritture e a comprendere la realtà in cui vive. In questo senso la responsabilità del sacerdote o di chi un giorno anche nelle nostre realtà sarà chiamato o chiamata a svolgere questo servizio, assumerà un valore molto decisivo per le comunità ecclesiali. Lo stesso vale anche per la lettera Amoris Laetitia, frutto di due sinodi sul tema dell’amore nella famiglia apre le porte al confronto con le dinamiche relazionali del nostro tempo, osserva con attenzione la qualità delle relazioni personali, comportamentali e affronta le nuove problematiche che le società sparse per il mondo stanno vivendo. Anche la lettera Amoris Laetitia segue lo stesso stile sinodale dove prevale l’ascolto e l’accompagnamento. I giudizi e le condanne sono ormai messe da parte come anche le colpe e i castighi. Il sinodo dei vescovi, anche se con qualche contrario, ha deciso di ascoltare la realtà umana e cristiana della famiglia e non si è fermato all’aspetto culturale della famiglia occidentale. Il tema della diversità culturale e antropologica trova maggiore discussione nella lettera del sinodo sull’Amazzonia. Anche in questo caso chi si aspettava passi da gigante o riforme eclatanti, probabilmente è rimasto deluso perché il papa Francesco sa attendere. Sente che la responsabilità dell’episcopato è molto importante per cui lo stesso discorso vale anche per noi. Questo non vuol dire aspettare, non vuol dire rimandare come è tipico nel nostro linguaggio tradizionalista dove spesso usiamo le espressioni come: “cambiamo piano piano, si è sempre fatto così”, oppure “non sono maturati ancora i tempi”. E così via. Sono espressioni che fanno emergere “omissioni” e scarso senso di autenticità. Si sta bene così e basta perché occorre cambiare. E allora ancora una volta ci vengono alla memoria alcuni riferimenti presi dalla stessa Evangelii Gaudium. Il Papa incoraggia la creatività delle comunità per iniziare processi di rinnovamento pastorale e di comunità. Iniziare processi significa cominciare a proporre esperienze che arrivino al cuore delle persone, delle famiglie, delle comunità e dell’umanità. Possiamo immediatamente dedurre come iniziano ad intrecciarsi rapporti personali, rapporti di coppia, in famiglia, nella chiesa e nel mondo (mondo inteso come insieme di ambienti che frequentiamo e che arrivano come informazione o per immagine. Includo nella lista anche le realtà ecologiche che ormai fanno parte del percorso). Cominciamo già a vedere con più chiarezza l’orizzonte di una chiesa missionaria. Davanti a noi si presenta “la messe che è molta e gli operai sono pochi” come nuove frontiere che forse potrebbero incoraggiare proposte, iniziative e progetti di vita e di testimonianza. Potrebbe far sorgere nuove proposte vocazionali di impegno e di contemplazione in un mondo svuotato per la sua ricerca di piacere immediato e di scarto quando non piace più. La cultura dello scarto che è mondanità nei rapporti con le persone, nell’uso delle cose e della natura. La cultura dello scarto prodotta dal modello economico della produzione per consumere e buttare. Una cultura che disumanizza perché scarta tutto ciò che non è in funzione del mercato, siano esse persone (bambini, vecchi, malati, poveri) o cose (foreste, acqua, animali, aria ecc.).
Nella “fratelli tutti” il respiro umanitario e missionario diventa già più grande e vasto. Coinvolge davvero tutti con le proprie convinzioni, resistenze, opposizioni e spinte, per incontrarci sulla stessa strada della vita. O se volete stando sulla stessa barca e nella casa comune.